Cosa accadrebbe se diventasse impossibile far dialogare tra loro infrastrutture e dispositivi?
Se, in altre parole, tornassimo all’era analogica? Non mi riferisco a una perdita totale dell’avanzamento tecnologico quanto alla impossibilità di interagire in tempo reale.
L’idea mi è balzata in mente dopo avere letto due notizie che riguardano, seppure in modo temporaneo, la fine delle trasmissioni di due importanti mezzi di comunicazione di massa.
La prima si riferisce alla riapertura della tv di Stato greca, ErtGreca. O meglio alla sua chiusura. A giugno infatti, l’emittente aveva subìto uno stop con conseguente licenziamento di 2.800 persone, nell’ambito del piano di austerity, voluto dal governo di Atene. Mercoledì mattina, la nuova televisione pubblica Edt ha ripreso a trasmettere annunciando 500 assunzioni con un contratto di due mesi.
La seconda notizia riguarda il blackout di ieri di Amazon quando è andata offline per circa mezz’ora con una perdita stimata intorno ai cinque milioni di euro. Stessa sorte era toccata pochi giorni prima anche a Google e a tutti i suoi servizi annessi (da Gmail a Google Plus). Il down stavolta è durato appena due minuti ma avrebbe causato un crollo del 40% del traffico globale di Internet. In entrambi i casi non sono state specificate le motivazioni.
Blackout informatico
La tecnologia rappresenta oggi una larga, larghissima fetta della possibilità umana di comunicare e commerciare. Di garantire libertà e informazione. Nonostante la nostra grande dipendenza da questa inestimabile risorsa, mi chiedo:
1) siamo in grado di garantire per il futuro il livello tecnologico, l’accessibilità del mezzo e una continuità del servizio?
2) siamo in grado di garantire il pluralismo degli organi informativi nel pieno diritto all’informazione?
3) le regole dell’occupazione di chi opera in un settore delicato come l’informazione vanno di pari passo con la continua evoluzione dei nuovi strumenti digitali?
Ritorno all’era analogica
Appartengo alla generazione cresciuta in modalità analogica e ho vissuto con entusiasmo il passaggio al digitale. Credo che la generazione attuale abbia in più rispetto a ieri, un altro aspetto fondamentale: l’interattività del mezzo.
Senza l’interattività i nostri quotidiani strumenti tecnologici ci apparirebbero inutili scatolotti privi di vita. Sempre più, la nuova frontiera tecnologica è l’interazione dei mezzi: il cellulare che controlla da remoto l’allarme di casa; il frigorifero in grado di avvisare che il latte sta per scadere o se dobbiamo ricomprare il burro. Che fine farebbero i Social network senza la possibilità di aggiornare le informazioni in tempo reale? E i nostri dispositivi tecnologici se perdessero la capacità di interagire tra loro?
Nel caso di una imprevista fine delle trasmissioni, non per volontà di un sadico dittatore planetario né in seguito a una guerra o a un’epidemia, ma per un possibile difetto informatico (nel 2000 fu ipotizzato il così detto ‘Millennium bug‘), certamente l’uomo sarebbe in grado di riabituarsi alla dimensione analogica da cui proviene. Ma credo non riuscirebbe più a vedere l’oggetto tecnologico con gli stessi occhi di oggi.
Come in un romanzo di Asimov
La letteratura e poi il cinema, sono zeppi di esempi in cui l’uomo e la macchina si trovano in lotta tra loro. E il filo conduttore più o meno è sempre lo stesso: l’uomo si aspetta (spera/desidera/teme) che un giorno le macchine abbiano un’anima (e possano prendere il sopravvento).
Come ultima immagine ho in mente la scena interno giorno di una casa americana agli inizi degli anni’60 (potrebbe essere tranquillamente una di quelle descritte da Raymond Carver nei suoi romanzi) dove la luce del neon illumina gli oggetti appiattendone i volumi. Mentre il frigorifero monolitico, simbolo di opulenza e di quel tipo di società degli anni del dopoguerra, produce un ronzio vuoto e continuo.